Elisa Fuksas. L’intervista

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Come e perché hai deciso di scrivere questo libro? Cosa ti ha ispirata?

Purtroppo per me non credo nell’ispirazione, ma solo nel lavoro, nella disciplina, nella capacità di ordinare e raccontare le storie che incontro. Ho iniziato scrivendo un altro romanzo completamente differente a cui ho lavorato un anno. Poi parlando con Michele Rossi, il responsabile della narrativa italiana di rizzoli, ho capito che non era il libro giusto. Non era la storia che volevo raccontare perché in fondo non emozionava neanche me. Grazie a lui ho ricominciato, questa volta partendo dalla mia vita, e però usando anche la mia comicità e autoironia. Devo a lui il coraggio di avere pensato le cose che ho scritto.

 

Quanto tempo hai passato a scrivere il romanzo? A quali difficoltà sei andata incontro?

Un anno. La scrittura è un posto sicuro dove anche parlare di cose scomode diventa più fattibile, più umano. Le difficoltà vere le ho affrontate ad Aprile, quando il libro è uscito. Ho avuto paura di avere tradito le persone che amo, di averle ferite, di avere sbagliato. Per fortuna però non è stato così e la mia era una previsione sbagliatissima –come sempre. I personaggi del romanzo, e i loro paralleli nella vita hanno mantenuto un’esistenza autonoma. “La figlia di” è una comica lettera d’amore. Una divertente lettera al padre –e alla madre, alla sorella e a tutti i protagonisti della mia vita.

 

Come evolve la protagonista?

Potessi, lo chiederei a lei che già mi manca molto. Più che di evoluzione, nel caso di Olimpia parlerei di appropriazione di sé, del proprio mondo, e anche della propria fortuna. Olimpia riesce con successo a passare dall’essere passiva ad attiva, superando il senso di colpa che la tormenta perché convinta di avere una vita che non ha meritato. Ma come le fa notare una sua cara amica nel romanzo: visto che non è detto che ti ricapiti, è il caso di godersela. Che però non vuol dire dissiparla.

 

Quanto c’è di te in lei?

Abbastanza per scambiarci per sorelle, ma senza arrivare ad essere gemelle. E poi lei è ancora lì, nel libro, io per fortuna sono fuori. In cambiamento, e libera. Altra cosa: non mi trasferisco a New York come invece farà lei. Almeno per ora.

 

Parlando di te:

Come ci si sente e cosa comporta essere “la figlia di…”?

Generalmente non mi sento un granché speciale, né per meriti, miei né di altri. Le conseguenze invece…sono doppie…ma direi che a vincere sono i vantaggi. Io amo la mia famiglia, la rivorrei identica, anche con un cognome diverso però…il cognome è poco importante quando si tratta di sentimenti.

 

Hai studiato architettura, per poi dedicarti al cinema e alla scrittura. Come sono maturate queste scelte e che reazione ha avuto la tua famiglia?

Non direi che sono maturate, succedevano nella mia testa in modo indipendente dal mio presente di allora. Ho studiato architettura solo perché ero sicura che non volevo diventare architetto, così che alla fine dell’università sarei stata costretta a fare altro. E così è stato.

I miei genitori non sono mai intervenuti direttamente nelle mie scelte. Banalmente credo che per loro conti solo la mia felicità. Siamo una famiglia normale!

 

Come ha reagito la famiglia alla pubblicazione di questo libro?

Inizialmente non volevano leggerlo, poi c’è stato il cedimento. Credo gli sia piaciuto, ma non ci facciamo molti complimenti tra di noi quindi non ne sono certa. Di sicuro però se non gli fosse piaciuto me l’avrebbero detto. La critica –e l’autocritica- è feroce.

Di sicuro devono essersi stupiti quando hanno scoperto il mio lato leggero, autoironico e comico –che poi è predominante nel mio carattere. Credo non si aspettassero una commedia.

 

Cosa significa per te essere scrittrice? Come è iniziata la tua avventura?

Scrivere –che è diverso dall’essere scrittrice- è il modo che ho per provare a capire le cose. Ed è l’unico strumento che è stato in grado di cambiarmi e salvarmi la vita.

 

Quali erano le sfide cui sei andata incontro nel pubblicare il tuo libro?

Le sfide più tremende sono sempre tra me e me. Il dubbio di base è sempre lo stesso: perché raccontare questa storia. Di solito segue: è la storia giusta? E poi: a chi può interessare questa storia?

 

Un progetto per il futuro

Un altro libro, un altro film, un altro libro…un altro film…un altro libro…e vivere in modo da poter raccontare qualcosa che emozioni soprattutto gli altri. E magari ogni tanto anche me.

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