Intervista a Laura Costantini e Loredana Falcone

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Abbiamo intervista le due autrici di “Contrabbandieri d’amore” per capire cosa le ha portate verso la scrittura di questo magnifico romanzo e per conoscerle un po’ meglio.

Come e perché avete deciso di scrivere questo libro? Cosa vi ha ispirate? 

L’ispirazione per un romanzo può venire da mille cose. Dalla vita di tutti i giorni, dall’attualità, dalla cronaca. Uscì nel 2002 il saggio di Gian Antonio Stella “Orda – quando gli albanesi eravamo noi”, che esaminava la migrazione italiana nel mondo. Leggerlo ci diede la spinta a occuparci di un periodo affascinante dal punto di vista storico. E di una realtà di sofferenza, discriminazione e umiliazione che, come italiani, abbiamo voluto dimenticare per diventare, a nostra volta, discriminanti.

 

Perché avete deciso di scrivere romanzi a quattro mani? Secondo voi è più difficile o più semplice che scriverli singolarmente? 

Lo decidemmo sui banchi di scuola, dopo aver scoperto che a entrambe piaceva immaginare storie, mondi e personaggi. Abbiamo scritto insieme per più di trent’anni (anche se ci siamo decise a tentare la via della pubblicazione solo nel 2008) e continuiamo a farlo. Non è più difficile o più facile. È diverso. Amiamo dire che esiste l’autrice Laura, l’autrice Loredana e l’autrice Lauraetlory. Una terza identità che scrive con un suo proprio stile.

 

Come vi siete divise il lavoro di struttura del romanzo e scrittura?

Noi non ci dividiamo il lavoro. Lavoriamo insieme. Sempre. Dalla stesura della scaletta a quella dei capitoli, senza dividerci i personaggi o i piani della narrazione. Sappiamo quanto sia difficile da capire (è la domanda che ci fanno sempre alle presentazioni), ma è così.

 

Quanto tempo avete passato a scrivere il romanzo? A quali difficoltà siete andate incontro? 

Contrabbandieri ha avuto una lunga genesi. Lo abbiamo scritto, lasciato a sedimentare, poi ripreso, riletto, migliorato. La difficoltà, scrivendo un romanzo storico, è rendere credibile l’atmosfera senza cadere nella trappola del cosiddetto “infodumping”. Ci siamo documentate a tappeto sul 1920 a New York, ma non è un saggio storico quello che abbiamo scritto. Abbiamo rispettato epoca, usi, costumi, accessori, armi, automobili, ma senza voler creare un manuale di storia. Speriamo di essere riuscite nell’intento, visto che la maggior parte dei nostri romanzi si basa proprio sulla ricostruzione di epoche storiche lontane da noi.

 

I protagonisti di questo romanzo sono molteplici: Cecilia, Eugenio, Lisbeth e Sidney. Come li avete creati? Quanto c’è della vostra esperienza personale in loro? 

Nessuna esperienza personale trasposta, nessun autobiografismo. Nessuno di loro quattro ci somiglia, ma sono tutti figli nostri e della nostra capacità di osservare il mondo e le persone. Ci piace creare personaggi che abbiano luci e ombre, sfaccettature diverse. Che abbiano più domande che risposte. Che sbaglino, anche. E ne paghino le conseguenze.

 

Come evolve il personaggio di Cecilia e come cambia il suo atteggiamento di fronte alle numerose avversità a cui va incontro?

Ci è stato detto che Cecilia è un personaggio al quale non ci si affeziona subito, ma che emerge alla distanza. Forse perché è una donna della sua epoca, con tutti i limiti del ruolo. Vuole scegliere chi amare, che è già un’enorme ribellione per quei tempi. Ma vuole essere moglie e madre. Non aspira ad altro che a una famiglia. Per questo si prende cura, come può, degli altri tre, sebbene sia la più giovane di tutti.

 

Parlando di voi:

Spiegateci in poche parole chi siete.

Due signore ormai mature ma che si rifiutano di crescere. Laura è giornalista televisiva, Loredana è una mamma innamorata di due ragazzi ormai grandi. Apparentemente tranquille, coltiviamo la più grande delle ribellioni. Pretendiamo, da sempre, quella che Virginia Woolf definì “una stanza tutta per sé” e lottiamo quotidianamente contro una realtà fatta di esigenze altrui, di lavoro, di distanza anche fisica, visto che Laura adesso vive e lavora a Campobasso, mentre Loredana risiede a Roma.

 

Cosa significa per voi essere scrittrici? Come è iniziata la vostra avventura?

A scrivere abbiamo iniziato da quattordicenni fantasiose. A pubblicare da donne adulte e decise a perseguire il nostro sogno. Sarebbero in molti a obiettare che “scrittrici” è un titolo che non ci spetta visto che non abbiamo, ancora, scalato classifiche e vinto premi prestigiosi. Ma per noi due “scrittore” è una persona che, con costanza, professionalità e dedizione assoluta, crea storie che regalano emozioni ai lettori. E visto che riscontri in questo senso ne abbiamo avuti e continuiamo ad averne, ci consideriamo nel novero di quelle fortunate (e non numerose) persone che hanno avuto un sogno e lo hanno raggiunto lottando con le unghie e con i denti.

 

Qualche consiglio per chi vorrebbe seguire il vostro esempio? 

Dubitiamo che qualcuno possa realmente aver bisogno del nostro consiglio in un mondo, quello della narrativa, dove tutti sembrano in possesso delle tavole della legge per sfornare best seller. Ma se avessimo davanti una persona appassionata e giovane come eravamo noi all’inizio di questa avventura (e come continuiamo a essere nonostante tutto) partiremmo dal consigliare di leggere. Tanto e di tutto. Con curiosità o con disgusto (citando il mitico King di “On writing”), con invidia o con fastidio. Ma leggere. Diremmo poi che saper comporre parole e pensieri con un senso compiuto non significa “scrivere” nel senso artistico e professionale del termine. Ma che, come tutti i mestieri sostanzialmente artigianali, a scrivere si impara (posto che ci sia un talento di base, condizione imprescindibile) scrivendo, facendosi leggere e criticare, esercitando la difficile arte dell’umiltà. Aggiungeremmo che scrivere e pubblicare sono due cose diverse. Molto diverse. Arrivare alla pubblicazione è difficile. Arrivare a una pubblicazione con una CE media e seria è quasi un miraggio. Come ci si arriva? Con la pazienza, tanta. Con la costanza, tanta. Con l’ostinazione, posto che si creda di aver scritto qualcosa di valido. Rifuggire dalla narrativa usa e getta, dai generi gettonati dal mercato, dall’omologazione, dalla rincorsa al best seller. Scrivere di una scuola di magia era una pretesa assurda, prima della Rowling. E lo è ancor più dopo di lei. Essere originali, che non significa inventare qualcosa di mai sentito, perché tra Bibbia e Omero è già stato scritto tutto e il contrario di tutti. Essere se stessi. E, importante, parlare di cose che si sentono vicine. Che non vuol dire, attenzione, parlare di se stessi o del proprio mondo. Documentandosi si può rendere credibile tutto, anche una colonia di elfi su Plutone. Purché quella colonia di elfi faccia parte di noi in qualche strano, magico modo.

 

Un progetto per il futuro

Dare un seguito a “Contrabbandieri d’amore”. Nella vicenda c’è un bambino che sta per nascere e che potrebbe trovarsi alle prese con un periodo storico che amiamo moltissimo, quello della Seconda Guerra Mondiale. Vedremo. Intanto scriviamo. Perché farci leggere è importante, ma senza scrivere non potremmo proprio stare.

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