La scorsa settimana abbiamo partecipato a Bottiglie Aperte, forse la manifestazione sul vino più riuscita e apprezzata nel panorama milanese, che per la sua settima edizione si è regalata un nuovo palcoscenico – il Superstudio Più – per garantire maggiore accoglienza e comodità ai sempre più numerosi ospiti e produttori. Il risultato è stato un eccellente effetto di traino per la debuttante Milano Wine Week, che a sua volta ha amplificato l’eco e la portata della manifestazione: le premesse per una sinergia duratura e di successo ci sono tutte.
Noi di Cavalibri abbiamo approfittato per conoscere qualche produttore e degustare nuovi vini, che molto probabilmente saranno sfruttati nei nostri prossimi abbinamenti… tra le tante eccellenze vi proponiamo le seguenti anticipazioni, unite da un filo conduttore femminile: ai banchi di assaggio di queste aziende a conduzione familiare abbiamo incontrato le loro titolari che hanno saputo trasmetterci la loro passione e l’emozione dei loro vini ancora prima di berli!
CARLA E IL SUO BIANCHELLO
Ci avviciniamo al banco di Fiorini, incuriositi da un vino che non avevamo mai assaggiato: il Bianchello del Metauro, prodotto con il biancame, vitigno autoctono marchigiano coltivato appunto lungo l’alveo del fiume Metauro.
La signora Carla ci “costringe” a bere tutti i suoi Bianchelli e il suggerimento produce un inaspettato e piacevole climax crescente in termini di profumi, gusto e intensità: si parte dal più semplice Sant’Ilario, maturato in vasche d’acciaio, per passare al più intrigante Tenuta Campioli, che trascorre 5 mesi in vasche di cemento, e finire con il più sofisticato Andy, che si concede anche 6 mesi in botte.
A dire la verità non è finita qui, perché prima di finire la giornata siamo sempre “costretti” a ritornare per assaggiare il Monsavium, la versione dolce del Bianchello: che poi tanto dolce non sembra, perché questo vino passito è dotato di una freschezza e di una finezza (merito di una attenta selezione e di un trattamento certosino delle uve) da renderlo leggiadro. Più che da meditazione, un vino da sollevare l’animo!
NOEMI E LE SUE GUAITE
Le Guaite è il nome attribuito alla sommità della collina di Mezzane di Sotto, comune ricompreso nella zona di produzione del Valpolicella. Ed è lì che sono situati i vigneti della famiglia di Noemi che, a differenza della sua giovane età, ha ormai preso le redini dell’azienda con quella stessa passione, curiosità e fantasia che fin da bambina l’ha avvicinata al mondo del vino.
Il suo Amarone lo conosciamo già ma è sempre un piacere berlo per apprezzare la sua armonia ed eleganza. Poi Noemi ci presenta due vere “chicche” e basta guardarle gli occhi per capire che ne va decisamente orgogliosa. La prima assomiglia a un Amarone, ma lo è solo per la tecnica di vinificazione utilizzata: un fantastico profumo di liquirizia al naso e una piacevole morbidezza al palato. Dopo averci tenuto un po’ sulle spine, ci svela finalmente il vitigno utilizzato: cabernet sauvignon, chi l’avrebbe mai detto! Siamo solo alle prime annate di produzione ma l’idea è di quelle giuste e l’etichetta con un volto femminile stilizzato, ideato dalla stessa Noemi, racchiude tutta la convinzione e gli sforzi profusi per vincere questa scommessa.
La seconda chicca è il Solitario: si tratta di un recioto “amandorlato”: per dare un’idea, un vino a metà strada come dolcezza tra l’Amarone e il Recioto. Non sono rimasti in tanti a produrlo, ma tra questi troviamo Noemi, che sceglie solo le migliori annate per farlo venire alla luce. Un altro indizio per descriverlo? A chi piace il Porto, questo Solitario può rappresentare un’alternativa molto valida.
MICHELA E IL SUO MOSCATO (NON SOLO QUELLO…)
E’ quasi ora di andare via: rimane solo il tempo per gli ultimi assaggi e poi di corsa a prendere il treno (perché a queste manifestazioni non andiamo mai in auto: questione di prudenza, non solo per via del traffico di Milano…). Ci rechiamo al banco di Marenco, situato nella zona dedicata alle “Donne del vino”, e qui dobbiamo subito affrontare la delusione della signora Michela: “ma come, volete assaggiare solo il mio moscato dolce?”. Così, mentre degustiamo il Passrì Scrapona, ci fa venire il magone per non aver bevuto il resto della collezione dei suoi moscati.
Alla fine, prima di salutarla, tocca pagar pegno ma mai supplizio fu più dolce e gustoso… non volete i miei moscati? Beccatevi allora sto Brachetto! Non solo la versione spumantizzata, che rende onore a un vitigno semplice ma piacevole, rovinato purtroppo dalle versioni commercializzate che si trovano in giro a prezzi stracciati e che al naso ricordano le Big Babol gusto fragola degli anni ’80… la sorpresa finale, che ci fa andare via con il palato inebriato e la promessa solenne a Michela di assaggiare tutti i suoi vini alla prossima occasione utile, è la versione passita dello stesso Brachetto, un tripudio al naso di note balsamiche.
Chi l’avrebbe mai detto? E’ il segreto delle manifestazioni sul vino come Bottiglie Aperte, dove puoi andare a colpo sicuro quando conosci già un produttore o sei amante di un determinato vino, ma puoi rimanere comunque folgorato da chi non ti aspetti, basta solo avere un po’ di curiosità e la fortuna di incontrare delle donne come Carla, Noemi e Michela.
– Sommelier Antonio Freda –